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venerdì, Gennaio 24, 2025
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Differenze retributive fra supplenti e personale di ruolo, Ministero condannato al pagamento [Ordinanza Corte di Cassazione]

La Corte di Cassazione con Ordinanza n. 25613 del 12 novembre 2020 si è pronunciata sul ricorso 60-2015 confermando le sentenze di primo e secondo grado pronunciate rispettivamente dal Tribunale di Cremona e dalla Corte di Appello di Brescia con cui il MIUR era stato condannato al pagamento nei confronti dei ricorrenti, delle differenze retributive dovute sulla base del calcolo dell’anzianità di servizio maturata con rapporti a tempo determinato allo stesso modo di quella riconosciuta, in relazione ai medesimi periodi, al corrispondente personale di ruolo (nei limiti del termine di prescrizione quinquennale entro cui si può far valere tale diritto).

LA CLAUSOLA 4 DELL’ACCORDO QUADRO
Già la Corte territoriale di Brescia fondava la sua decisione sul principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999, che impone la disapplicazione del diritto interno.
Nell’ordinanza della suprema Corte di Cassazione si legge che:

L’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato ‘condizioni di impiego’ che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato ‘comparabile’, sussiste, quindi, a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacché detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono ‘norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela’ (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C- 177/14, Regojo Dans, punto 32)”.

Inoltre,

la stessa Corte di Giustizia Europea ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva e che a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevando la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate”.

Secondo la Corte di Cassazione quindi le ragioni che possono giustificare una disparità di trattamento retributivo tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato, devono basarsi solo su elementi precisi e concreti che contraddistinguono le diverse modalità di lavoro e che attengano alla natura e alle caratteristiche delle mansioni svolte. Al contrario, il Ministero, pur affermando l’esistenza di condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate.
Secondo la Corte di Cassazione dunque correttamente la sentenza impugnata (quella del Tribunale di Brescia) ha richiamato le statuizioni della Corte di Lussemburgo per escludere la conformità al diritto europeo delle clausole dei contratti collettivi nazionali per il compatto scuola, succedutisi nel tempo, in forza delle quali per il personale docente ed educativo non di ruolo era escluso il riconoscimento della anzianità di servizio, previsto per gli assunti a tempo indeterminato in base ad un sistema di progressione stipendiale secondo fasce di anzianità.

VEDI L’ORDINANZA

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